Dieta e funzionalità renale

Sebbene nell’ultimo decennio gli studi che abbiano saputo collegare la patogenesi renale ad un uso “smodato” di proteine siano pressoché assenti (in persone sane ovviamente), allo scopo di voler prevenire la funzionalità di questi preziosi organi, non andrebbe comunque sottovalutata la nostra intera organizzazione nutrizionale. Un’attenzione che, oltre a tutto il resto, dovrebbe guardare non solo alla quantità, ma soprattutto all’entità dell’alimento proteico consumato.

A tal proposito ci basti pensare che la stessa proteinuria (la presenza di proteine nelle urine, uno dei principali marker di danno/difficoltà renale proteine-indotto), può essere influenzata anche dalla tipologia degli alimenti proteici scelti, il che ci suggerisce di considerare pure la struttura aminoacidica dell’alimento stesso. Il riferimento in questo caso va al “celebre” valore biologico del nostro alimento proteico, che ricordo essere determinato sia dalla quantità che dalla proporzione degli aminoacidi essenziali (EAA) in esso contenuti.

Ad ogni modo, si può iniziare a parlare di proteinuria lieve quando i valori registrati nelle 24h sono superiori ai 150 mg, proteinuria grave se tali valori si avvicinano ai 1000 mg.

Pur essendo un’elevata proteinuria indice di insufficienza/affaticamento renale, si tenga tuttavia presente che, a prescindere dal nostro stile nutrizione, può apparire del tutto fisiologico un aumento delle concentrazioni proteiche nelle urine nelle seguenti situazioni:

– forte stress psico-fisico

– disidratazione

– in presenza di allenamenti intensi

– malattia

– gravidanza

Se appare quindi accettabile una forma “transitoria” del fenomeno, dovremmo iniziare a preoccuparci in caso di alterazione cronica. Ovviamente, scagionare l’eventuale presenza di una qualunque nefropatia sarà compito del curante, modulare quelle alterazioni transitorie (e quindi prevenirne un’eccessiva ripetitività) sarà invece compito nostro. Come? Mediante la giusta misura di allenamento associata ad un’adeguata alimentazione/integrazione.

Concentriamoci per ora su quest’ultima. Nella premessa oltre che alle proteine ho fatto riferimento all’intera organizzazione nutrizionale adottata, e tale appello si dovrà estendere non solo alla quantità/qualità dei macro e micronutrienti consumati, ma anche alla loro stessa distribuzione giornaliera (timing) in relazione alle differenti necessità metaboliche. A tal proposito ricordiamo che tutto ciò che noi introduciamo in forma esogena, sarà motivo di aumento dell’osmolarità plasmatica, e tale fenomeno può essere più o meno tollerato in virtù della velocità di assorbimento dei vari organi e tessuti (muscolare compreso).

A titolo informativo, sappiate che l’osmolarità esprime la concentrazione di una soluzione in ragione del numero di particelle in essa disciolte. Non modificano il suddetto valore la grandezza delle particelle (molto importante) e la loro carica elettrica.

Nel sangue la concentrazione delle particelle si attesta a 280-320 osmoli per litro, ed è mantenuta costante proprio dal rene, organo deputato alla conservazione del rapporto tra liquido e soluti.

Le strutture che compongono il rene saranno quindi soggette ad un aumento di lavoro ogni qualvolta sale la concentrazione dei soluti, determinando così la dilatazione dei pori glomerulari ed il sovraccarico delle proprie componenti; un fenomeno del tutto analogo a quello causato dall’ipertensione che, per motivi prettamente meccanici, induce il glomerulo ad una costante forzatura nel transito dei liquidi.

Tuttavia, patologie a parte, si tenga presente che questo fenomeno non è considerato un problema se registrato in forma acuta (purché occasionale), ma come abbiamo già intuito lo sarà in forma cronica. In queste circostanze il processo d’invecchiamento dell’organo risulterà senz’altro accelerato, e con esso verrà meno anche la sua capacità emuntoria.

L’iperglicemia protratta è per esempio motivo di un aumento cronico dell’osmolarità, è può dipendere sia da un eccessivo ed ingiustificato contributo glucidico nella dieta, che da malattie metaboliche come il diabete mellito. Allo stesso modo, aumentano l’osmolarità nel plasma anche elettroliti, vitamine (specie se idrosolubili), grassi e proteine solide (questi ultimi in misura minore poiché più graduali nell’assorbimento), in maniera più significativa proteine solubili a rapido assorbimento (whey). Ultimo, anche se forse il più importante tra tutti, incontriamo l’insufficiente idratazione, che essendo direttamente collegata al volume dei fluidi corporei (plasma compreso), sarà indiretta responsabile dell’aumento dell’osmolarità del sangue (se cala il liquido a parità di soluti, questi si faranno più concentrati).

Fattore da tenere in forte considerazione è anche la malnutrizione proteica (sindrome di Kwashiorkor) che, al pari dell’esatto opposto, può comportare problematiche renali. Questo accade poiché un deficit proteico prolungato, sarà responsabile di una ridotta albuminemia (carenza di albumina), la quale, oltre a fungere da carrier per diverse sostanze (sia di scarto che funzionali), regola la pressione oncotica tramite la quantità di acqua a sé legata (osmosi). Se quindi cala l’albumina, si riduce l’acqua nel plasma, che, disperdendosi negli spazi interstiziali, provocando altri problemi, porterà pure ad un aumento della stessa osmolarità plasmatica sempre per maggiore concentrazione dei soluti.

Poiché abbiamo constatato come l’aumento dell’osmolarità sia un fenomeno “causato” dallo stile nutrizionale in senso lato, potremmo facilmente capire in che circostanze (malnutrizione a parte) possa sussistere un aumento della proteinuria e dell’azotemia anche in assenza di vere e proprie problematiche renali: ogni qualvolta la concentrazione dei soluti nel plasma cresce esponenzialmente nell’unità di tempo. Un fenomeno che ci rimanda inevitabilmente al fatidico bivio:

– forma acuta occasionale (nessun problema)

– forma cronica (alla lunga induce alla patogenesi renale)

Dal punto di vista alimentare incontreremo dunque i seguenti vizi che, se perpetuatI, potranno verosimilmente condurci a complicazioni renali:

  • scarsa idratazione
  • un apporto di nutrienti superiore a quanto realmente necessario
  • l’utilizzo di pietanze a scarso valore biologico (cibi raffinati, carenza di microelementi ed aminoacidi essenziali)
  • l’impiego ingiustificato di alimenti concentrati a rapido assorbimento (integratori alimentari)
  • l’elevata presenza di cibi ricchi di purine (basi azotate presenti negli acidi nucleici)
  • l’eccessivo consumo di sodio e/o di alcaloidi (in particolare caffeina e nicotina)


Non a caso le analisi del sangue vengono sempre effettuate a digiuno da almeno 10 ore, ed al fine di ottenere un risultato più accurato, dovranno sempre essere associate all’esame delle urine. Per un ulteriore meticolosità si potrà anche ricorrere all’analisi delle urine nelle 24 ore, determinando così la clearance renale (capacità di filtrazione sull’unità di tempo).

Si tenga tuttavia presente che, a livello ematico, essendo la stessa azotemia costituita da urea, creatinina, purine ed acido urico (che i reni devono in qualche modo filtrare), si dovrà sempre considerarne l’esistenza di una certa proporzionalità con la massa muscolare del soggetto. Di fatto la creatininemia risulterà correlata all’attività dei nostri muscoli (mediante scissione del creatin-fosfato), ed il catabolismo cellulare potenziato dall’intenso allenamento (ma anche dai processi sarcopenici senili), andrà ad accrescere non solo l’urea, ma anche la quantità di acido urico circolante (uricemia). A questo aggiungiamoci anche l’aumento dell’apporto proteico (a volte ingiustificato) tipico del frequentatore della sala pesi.

A questo punto non ci occorrerà una laurea in biologia per intuire come il bodybuilder sia un soggetto altamente predisposto a riscontrare simili alterazioni. Tutto ciò non pone il culturista su di un maggior livello di tolleranza rispetto al comune individuo, ma piuttosto evidenzia come debba essere proprio lui a curare il dettaglio dello stile nutrizionale adottato.

Oltre quindi all’osservazione dei punti sopraelencati, essendo la stessa azotemia derivante anche dagli aminoacidi inutilizzati, il b.b. dovrà ricorrere ad un’attenta modulazione dell’apporto proteico, evitando l’eccesso di aminoacidi non essenziali, favorendo al contempo quelli essenziali. A certi livelli l’impiego di un’integrazione appropriata apparirebbe pressoché necessaria, così come l’esclusivo utilizzo di fonti proteiche ad elevato valore biologico.

Malgrado sussistano quelle “certezze” pervenute dalla così detta evidenza scientifica, cerchiamo comunque di limitare l’apporto proteico in funzione alle reali necessità (1,5-2 gr/kg/die), ed evitiamo il più possibile di praticare lunghi periodi sotto diete ipoglucidiche ed iperproteiche (che ci obbligano ben oltre i 2 gr/kg/die); per ovvi motivi glucogenetici, tali pratiche nutrizionali andranno sempre accrescendo l’escrezione di azoto, e con essa il lavoro di filtrazione renale.

D’altro canto se è la lipolisi che cercate, sappiate che questa avviene anche in presenza di carboidrati; dal punto di vista fisiologico rimarrà sempre e solo conseguenza dello scarto energetico istituito.

A proposito di quest’ultimo: sappiate che non esiste soltanto il taglio calorico, ma un “delta” negativo lo può creare anche lo stesso aumento del TDEE (Total Daily Energy Expenditure) mediante opportune strategie nutrizionali.

Perché accade questo? Perché il TDEE è direttamente connesso con l’introito energetico dell’individuo.

Dato che per promuovere questo adattamento non basterà un semplice incremento dell’apporto calorico, vi rimando ad un’altra serie di articoli (vedi sezione alimentazione) dove cercheremo di conoscere la strategia più fisiologica per modulare tale alterazione.

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