C’era una volta il 3×8 (1 parte)

Essendo il mio mestiere quello del personal trainer, e svolgendolo all’interno di grandi catene del fitness a diretto contatto col pubblico, mi capita spesso di ricevere quesiti di natura più e meno tecnica. L’entità di questi interrogativi, se attribuita al frequentatore medio, raramente sconfina dall’ambito della banalità; superficialità che tuttavia potremmo definire tale solo se anche il nostro rispondere si mostrerà altrettanto semplice ed approssimativo.
Contrariamente a quanto si dice in alcuni spot pubblicitari, le “grandi domande” in realtà NON sono cambiate, e le più frequenti rimangono sempre le stesse:

  • per fare massa devo usare 8 ripetizioni?
  • se ne uso 4 faccio forza?
  • quindi con 15 faccio “definizione”?

Umberto Eco disse: c’è davvero bisogno di domande retoriche? Sicuramente no, ma in questo frangente la retorica ritrae proprio quell’eccesso di approssimazione che gran parte degli addetti ai lavori continua a diffondere; superficialità che viene poi inevitabilmente confezionata in pseudo regole di apparente fruibilità.
Pertanto quale potrebbe essere la risposta che dovremmo dare a tutti coloro che ci chiedono se il 3 x 8 vada bene per innescare il processo ipertrofico? In realtà non esiste una semplice risposta, piuttosto occorrerebbe promuovere un’indagine circa tutti i parametri che ruotano attorno a quella facile istruzione. Per chi si trovasse nelle condizioni di non comprendere l’essenza di questi “altri parametri”, eccoli in elenco:

  • grandezza del carico utilizzato nel suddetto regime (in termini di % rispetto ad 1 RM, in altre parole intensità di carico)
  • maggiore o minore copertura del range prestazionale previsto dal carico selezionato (ripetizioni svolte su ripetizioni massimali, ossia intensità dello sforzo
  • velocità d’esecuzione nelle singole fasi (una positiva, due isometriche ed una negativa)
  • recuperi interposti ai set
  • frequenza di tale protocollo nell’arco del mesociclo

Chiaro che per essere davvero meticolosi, dovremmo anche osservare assetto posturale e biomeccanica dell’esercizio, ma soffermiamoci per ora su quanto sopra elencato; dunque, sapete cosa mi risponde la maggior parte del pubblico alla richiesta di ulteriori indizi?
“uso l’80% e recupero circa 1 minuto tra i set, ho letto che per mettere massa devo fare così!”
Chiaro che a questo punto, salvo rare eccezioni, non ha senso proseguire l’indagine circa i parametri mancanti… mi rendo semplicemente conto di essere di fronte a qualcuno che necessita di comprendere taluni meccanismi che esigono una certa priorità su tutto il resto.
Innanzitutto bisogna capire che usare l’80% di 1 RM implicherebbe la conoscenza del nostro massimale, il che a sua volta necessiterebbe di una certa perizia in termini di stile esecutivo e relativo assetto meccanico-posturale; conveniamo tutti che ricercare un massimale all’esordio (ma anche dopo qualche mese) del nostro percorso d’allenamento sarebbe oltremodo inutile oltre che potenzialmente dannoso rimane quindi sorprendente il fatto di come molti utenti siano a conoscenza di questo fantomatico valore resistente, prima ancora di aver imparato a tenere in mano bilancieri e manubri! Sarà per le motivazioni sopradescritte? Sicuramente, ma purtroppo un’indicazione incompleta a volte può mostrarsi tutt’altro che utile, anche perché ad alimentare la nostra imprecisione, rimane soprattutto la sopracitata incognita prestazionale; cosa si può realmente “fare” con un carico pari all’80% di 1 RM?
Ebbene, tale resistenza, e questo ve lo può garantire qualunque attento addetto ai lavori, non vi potrà permettere lo svolgimento di un 4 x 10, e detto in tutta franchezza nemmeno di un 3 x 8. Se ciò dovesse accadere, o non state adoperando tale carico (cosa molto probabile), oppure state progressivamente modificando tutti gli altri parametri del vostro work-out, inclusi assetto e lo stesso pattern motorio dell’esercizio (in questi casi il cheating ne rappresenta la principale espressione).
Diciamoci le cose come stanno, il range prestazionale di questa resistenza è confinato ad un’unica serie da circa 8 ripetizioni, qualcosa di meno se intendiamo impiegare una movimentazione più attenta nei punti critici del ROM. Ad ogni modo avete capito bene, un unico set, il che significa che se entro un paio di minuti (quindi il doppio dei nostri 60’’ “ipertrofici”) vogliamo farne un altro, avremmo due possibilità:

  • ridurre il carico al fine di mantenere il numero di reps iniziale (metodo “mantieni ripetizioni”)
  • ridurre il numero di reps per conservare il valore resistente (metodo “mantieni peso”)

Volere per forza di cose conservare carico e ripetizioni, esigerebbe la presenza di uno spotter e relative reps “forzate” (in pratica lo spotter ci sottrae i kg in eccesso quando non ce la facciamo), oppure, meno saggiamente, ci vedrebbe obbligati a ricorrere in qualche escamotage di tipo balistico, pliometrico o comunque legato alla meccanica del movimento. Chiaro che tutto ciò, nel mondo della cultura fisica, nel bene o nel male appare un po’ come ordinaria amministrazione, ma non potremo tuttavia attribuire alle nostre performance simili diversivi.
Rimane pertanto da dire che, considerato il quadro generale, non ci si potrà mai aspettare un risultato analogo tra due soggetti che intraprendono uno stesso work-out, e la motivazione di ciò non sta tanto nella dissomiglianza biologica che comunque interesserà due differenti individui, ma per lo più in quella che potremo definire come SOGGETTIVA INTERPRETAZIONE di una determinata procedura. Potete ben capire che il mio riferimento non va soltanto alla scelta di un dato valore resistente, ma a tutto un’insieme di sfumature che avremo modo di approfondire nei prossimi episodi di questo articolo. Il lavoro non sta solo nelle serie, ma soprattutto dentro alle stesse.

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