Progetto ricomposizione corporea (2 parte)

Vi ricordate dell’ormone leptina citato nella prima parte dell’articolo? Ecco, buona parte dei nostri processi metabolici che conducono alla perdita di adipe, dipendono essenzialmente da questa molecola. O meglio a dirsi dalle conseguenze che provoca sul sistema endocrino, in particolare, come già detto, sugli ormoni gonadici, sull’espressione tiroidea, nonché sulla sintesi di enzimi aventi finalità lipolitica. Oltre a tutto questo, bisogna anche sapere che la leptina è comunque collegata ad ogni altro ormone e neuropeptide deputato al controllo della velocità metabolica, come pure al senso di sazietà (interagendo col CCK prodotto dallo stomaco).

Si può quindi evincere il profondo legame esistente tra quella che possiamo definire “funzionalità metabolica” e livelli di leptina; un’efficienza che, tuttavia, non si mostrerà del tutto proporzionale qualora i livelli di questo ormone siano cronicamente elevati.

Prima di comprenderne il motivo, cerchiamo innanzitutto di scoprire da chi è prodotta questa citochina: la leptina scoperta nel 1994 da Friedman, viene sintetizzata soprattutto a livello del tessuto adiposo bianco, ivi messa in circolo. I suoi recettori sono ubiquitari, ma il sito primario di azione risulta essere l’ipotalamo, ghiandola situata oltre la barriera emato-encefalica. Da questo dettaglio possiamo già individuare il primo “problema”: per oltrepassare tale barriera, e quindi diffondersi nel fluido cerebrospinale, la leptina necessita di appositi trasportatori, che potrebbero sotto regolarsi e/o non svolgere correttamente il proprio compito.

Una delle principali cause della sottoregolazione di un carrier e/o di una desensibilizzazione recettoriale, sarà ovviamente la presenza cronicamente elevata di quella stessa molecola da dover gestire. Lo abbiamo visto nei confronti del glucosio nel caso dell’insulino resistenza, lo vedremo anche in quello della leptina. Ecco perché un obeso, che dovrebbe essere munito di elevate quantità di tale citochina (vista l’alta presenza di adipe), non dimagrisce; egli infatti sarà affetto da leptino-resistenza (in questo caso parliamo di desensibilizzazione dei recettori OB-Rb che a breve conosceremo nelle tre varianti).

La domanda che a questo punto potrebbe sorgere spontanea è: ma se la leptina è prodotta proporzionalmente al tessuto adiposo, come fa il soggetto magro a sintetizzarla e quindi tenere alta l’efficienza metabolica?

Fortunatamente tale citochina dipende anche (e forse soprattutto) dal metabolismo del glucosio, ragione per cui il suo rilascio sarà strettamente influenzato dal tasso glicemico e quindi dai livelli d’insulina. Un dettaglio non di poco conto, dato che il protrarsi di un eccesso di glucosio circolante e dunque di un’elevata insulinemia (vedi diabete di tipo II), contribuendo ad una continua sintesi di leptina, condurrà inesorabilmente alla solita desensibilizzazione recettoriale. Ricordiamo a tal proposito dell’esistenza di tre isoforme di recettori OB-Rb: solubile, corta e lunga. La prima determina l’effettiva biodisponibilità della stessa molecola (requisito primario), la seconda è quella espressa a livello della barriera emato-encefalica (che quindi ne medierà il trasporto), la terza a livello ipotalamico (che determina la trasduzione del segnale). Pare evidente come la leptino-resistenza, comunque la si voglia vedere, si mostrerà sempre come un pessimo affare.

Ecco spiegato perché in una condizione di cronico (come anche patologico) non funziona praticamente nulla… d’altro canto, pari e negativo effetto sarà ovviamente riscontrato anche nella situazione opposta, ennesima ragione per confermare come diete zero-carb e/o digiuni prolungati (> 36-48h), non miglioreranno minimamente l’efficienza metabolica.

Possiamo dunque sintetizzare che i livelli di leptina saliranno quando l’aumento della glicemia e degli aminoacidi circolanti saranno in grado di attivare la via metabolica della esosamina, allorché il prodotto finale (la UDP-N-acetil glucosamina) riuscirà a generare un “fed state” positivo. In pratica la stessa situazione che potrà condurre a lipogenesi, essendo inevitabilmente associata a positività sul bilancio calorico. Il motivo principale per cui, al fine di non promuovere l’aumento del tessuto adiposo, prima di lanciarsi in prodigiosi “carb charge”, come proferivo nella prima parte del post occorrerà guardare ai momenti di massima sensibilità insulinica.

Agendo in questa maniera godremo sia della massima tolleranza nei confronti dell’elemento glucidico (per effetto di una migliore partizione tra massa magra e grassa a favore della prima), che degli effetti generati dalla stessa impennata di leptina. E dato che tale molecola è implicata in tutte quelle “regolazioni” deputate al controllo della velocità metabolica, saranno questi stessi stati di ipernutrizione (purché discontinui) a contribuire in modo significativo alla perdita di adipe.

Tra tutta quella serie di alterazioni dovute all’impennata di leptina, abbiamo visto spiccare la modulazione dell’espressione tiroidea. Una volta giunta a livello ipotalamico (e ci deve arrivare), legandosi ai propri recettori (che devono funzionare), determinerà la sintesi di TRH (ormone rilasciante la tirotropina), il quale provvederà a stimolare la tiroide nel rilascio di T4. Essendo tale azione generalmente compito dell’ipofisi (mediante TSH), si noti come il meccanismo leptina-ipotalamo scavalchi questo passaggio, eludendo così l’eventuale sottoregolazione di TSH qualora sussista già una certa presenza di T4 in circolo. In pratica l’asse leptina-ipotalamo-tiroide (che comprende anche la regolazione dell’enzima deiodinasi, vedi prima parte), si mostrerà del tutto autonomo indipendentemente dalla stessa funzionalità pituitaria. Ma non è tutto qui.

Sempre come avevo anticipato in precedenza, gli effetti della leptina si individuano anche a livello gonadico, mostrandosi direttamente collegata con il rilascio di GnRh e quindi degli ormoni sessuali.

A tal proposito ricordiamo che nell’ipoglicemia protratta, come del resto in tutti i casi di scarsa nutrizione e/o digiuno prolungati, si vedrà diminuire GnRh, generando ovvie ripercussioni anche sul rilascio delle gonadotropine (LH, FSH) e del liquido seminale. A ciò si aggiunge la secrezione di neuropeptide-Y ed il fattore rilasciante corticotropina (CRF), direttamente connesso alla sintesi di cortisolo. Ora, se avete letto la mia tesina sul processo ipertrofico, potrete capire il perché la sintesi proteica non sia attuabile in circostanze di deficit nutrizionale, come pure allorché vengano forzati eccessivamente i parametri ormonali che permettono l’innesco degli stessi processi anabolici (vedi T/C ratio).

Si torna così con facilità alla relazione con AMPK (inversamente proporzionale ad M-tor), che ricordiamo essere maggiormente espressa qualora sussistano deficit energetici protratti. Colgo l’occasione per ricordare come in un soggetto magro i livelli di adiponectina siano maggiormente elevati, e di come AMPK sia direttamente proporzionale a quest’ultima. Se a questo punto consideriamo come la leptina inibisce AMPK solo a livello ipotalamico (regolando così il senso di sazietà), ma la attivi a livello muscolare (aumentando la dissipazione energetica mitocondriale), il soggetto dotato di bassa % di BF sarà letteralmente costretto a ridurre drasticamente il volume d’allenamento e/o l’intensità di lavoro (da non confondersi con l’intensità di carico). Se così non facesse finirebbe per esprimere troppo AMPK, inficiando così non solo sulla sintesi proteica, ma anche sulla conservazione stessa della propria massa muscolare.

Abbiamo pertanto capito che la crescita della leptina, oltre a determinare una serie di alterazioni utili ad alimentare l’efficienza metabolica in senso lato, accrescendo il tasso di dispendio metabolico, potrà tuttavia limitare la crescita muscolare. È paradossale lo so, ma se pensiamo che la stessa perdita di adipe dipende dal mero bilancio energetico, non faremo molta difficoltà a capire come per la sintesi proteica valga la stessa cosa. Di fatto avere la così detta “botte piena e moglie ubriaca” è pressoché utopistico, ma se abbiamo ben afferrato il retroscena di tutti quei processi che ruotano attorno ad un cambio di composizione corporea, non potremo esimerci dal considerare questo elenco di regole, peraltro sequenziali:

  • uscire dalla sindrome metabolica promuovendo innanzitutto maggiore sensibilità insulinica (ed abbiamo visto come farlo)
  • migliorare ulteriormente l’affinità con l’elemento glucidico mediante stimolazione opportuna del tessuto muscolare (allenamento)
  • nelle ore che precedono il work-out, eliminare tutto ciò che possa condurci ad insulino resistenza direttamente e/o indirettamente (sbalzi glicemici, eccesso di aminoacidi non essenziali, picco lipemico, ecc.)
  • far sì che la fase di refeed, coincida con la nostra “finestra anabolica”, e si protragga per un minimo di 2 ad un massimo di 8 ore dal termine della seduta (in modo inversamente proporzionale alla quantità di BF)
  • strutturare il refeed in maniera tale che sia ricco di glucosio o di precursori dello stesso (quindi non fruttosio) e di aminoacidi essenziali (EAA), in particolare leucina, preferendo dapprima alimenti a rapida assimilazione (maltodestrine ramificate, proteine del siero idrolizzate)
  • utilizzare abbondanti grassi alimentari in momenti separati rispetto al picco insulinico (vedi attivazione lipoproteina lipasi da parte dell’insulina), quindi successivamente alla fase di refeed
  • ridurre l’apporto calorico nei giorni OFF, ossia quando il nostro QR metabolico è meglio predisposto a processi ossidativi, dando maggiore priorità ad alimenti lipidici ed alimenti proteici nobili (come anche all’impiego di EAA supplementari)

Detto tutto questo, ora sarà molto più semplice capire come affrontare i numerosi sgarri previsti nelle festività natalizie. Riassumendo:

  • praticare restrizione energetica e/o digiuno nelle ore che precedono il pranzo o la cena che dovremmo affrontare
  • possibilmente, effettuare una seduta di allenamento (come sopra indicato, od in alternativa cardio HIIT) facendo si che termini nei 90 ai 150 minuti che precedono l’evento
  • concedersi allo sgarro senza limiti; astenersi da questo genere di circostanze, oltre che contrassegnarci come delle vere e proprie “pecore nere”, va contro al principio culturale che sta alla base della socializzazione; unico consiglio, moderate gli alcolici, sono calorie inutili
  • se il pranzo o la cena sono ricchi di grassi di ogni forma e tipo (cosa altamente probabile), ricorrere ad attività cardiovascolare in fascia lipolitica (cardio LISS) nel momento in cui si ritiene sussista il picco lipemico (che può protrarsi anche fino a 16 ore dal pasto) rigorosamente a digiuno
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